Ucraina, come un gioco dell’oca
Il vertice di Ginevra, che venerdì 17 aprile, ha riunito i responsabili della diplomazia russa e statunitense, con un’Europa fantasmatica al seguito, per tentare di sventare il rischio di una precipitazione nella guerra civile in Ucraina, ha trovato per fortuna un accordo. Un accordo fragile, va detto subito, riposto nelle mani delle autorità ucraine che, soprattutto dopo la crisi del regime di Yanukovich, sono, ancora più di prima, senza autorità né forza operativa, e di milizie armate contrapposte – nazionalisti filooccidentali e russofoni filo moscoviti – probabilmente maldisposte a cedere le armi su richiesta di Kiev. E il disarmo delle milizie di una parte e dell’altra è, ovviamente, il primo e il più immediatamente urgente degli obiettivi dell’accordo.
Se le fragilità e le difficoltà dell’accordo sono evidenti, tuttavia si tratta pur sempre di un accordo e come tale, se si evita che le cose precipitino nel sangue, un accordo ancorché fragile ha valore non solo per l’ingiunzione dello stop alle armi che mette in atto, ma anche perché può aprire la strada a qualche più solida soluzione. L’Europa, nella costruzione di una tale prospettiva, dovrebbe essere l’attore principale, perché, come avvenne alla fine del secolo scorso con l’implosione della regione balcanica, anche nella crisi ucraina sono in ballo la collocazione e il ruolo del vecchio continente nel mondo che cambia, negli assetti e relazioni tra potenze vecchie e nuove, popoli e culture che non sono più come erano. Ma come già allora, l’Europa non sa parlare una lingua in comune, e resta al rimorchio di un primato strategico con cui non vuole e forse non è più in grado di fare i conti. Quel primato che, attraverso il ruolo “europeo” della Nato, rimanda a Washington. Nella crisi il segretario generale della Nato, Anders Foh Rasmussen, ha parlato come un Chief commander: “Avremo più aerei in cielo, più navi in mare, più rapidità sulla terra”. Pronti a tutto insomma, a partire dalle postazioni in territorio europeo.
In e per quella regione in crisi, tutto può oggi succedere, proprio perché la crisi di Kiev va oltre le molte ragioni interne che l’hanno alimentata: l’esaltazione in chiave identitaria, da parte delle formazioni estremistiche, delle divisioni etno-linguistiche che la crisi economico-sociale ha esasperato; l’opprimente sistema oligarchico messo in piedi negli ultimi vent’ani, che ha esaltato povertà, rancori e paure tra la popolazione, dilatando l’ambito della corruzione. Ma è soprattutto la portata geopolitica della regione a entrare direttamente in ballo. Una lunga storia di instabilità, seguita al crollo del regime sovietico, che ha sbalestrato il confine orientale del continente europeo, tra un Occidente desideroso di inglobare l’inglobabile e di sorvegliare da vicino i nuovi vicini, con ogni sorta di scudi satellitari e strumentazioni missilistiche, e una nuova Russia ansiosa di riacchiappare porzioni di territorio dell’antico impero e ristabilire una sua continuità territoriale verso ovest.
L’aspra accelerazione del conflitto che si era registrata nel Paese nelle ultime settimane e soprattutto a poche ore dal vertice, era arrivata intanto a preoccupanti risvolti. La rivolta dei filorussi era dilagata in tutta l’Ucraina dell’est, che è il territorio principe della contesa, dopo la Crimea, e le autorità di Kiev avevano perso il controllo di molti distretti nella regione. C’erano già stati tre morti tra i separatisti e molti feriti tra i soldati regolari di Kiev.Tutto questo mentre diversi reparti corazzati inviati da Kiev per riprendere il controllo di quella vastissima area al confine con la Russia si erano arresi ai dimostranti chiedendo l’annessione a Mosca. Come era successo in Crimea. Il servizio Bbc News on-line, che ha molti inviati nella zona, aveva sottolineato con chiarezza nei suoi servizi che l’operazione “anti-terrorismo” annunciata da Kiev e lanciata pochi giorni prima del vertice di Ginevra contro i separatisti, sembrava destinata a risolversi in un fiasco.
Tutto questo a conferma del profondo caos che pervade il Paese, del puzzle di cause e concause che stanno dietro la cronaca nuda e cruda dei fatti.
C’è, dietro la vicenda ucraina, la complicata – per non dire altro – storia del Novecento e c’è la partita che si gioca oggi intorno alle risorse energetiche e al ricatto energetico. E c’è soprattutto, la sfida geopolitica tra Usa e Russia, aperta da tempo in quella faglia euroasiatica a ridosso dell’Europa, che è ponte verso lo sterminato continente asiatico e rischia di far mancare il fiato politico all’Europa. Infatti anche al vertice di Ginevra l’Europa ha svolto un ruolo di secondo piano, con le intimazioni della cancelliera tedesca a Putin in primo piano e la longa manus della Nato a surrogare il deficit strutturale che l’Europa sconta sul piano della politica estera e della concezione della difesa. Ridotta, quest’ultima, al piano meramente militare della razionalizzazione e dell’efficientamento – come dicono in burocratese gli addetti – delle risorse sia umane sia di mezzi. Nessuna idea in comune e molte tentazioni diverse, come troppe vicende di questi anni confermano. In Africa sempre più.
Sul suo versante orientale, dopo il collasso dell’impero sovietico e la deflagrazione delle repubbliche legate a Mosca, la strada imboccata dall’Unione europea è stata quella di scavare nuovi pozzi avvelenati, acconsentendo spesso con enfasi condivisa alla strategia della Nato di estensione di forme intrusive di partenariato militare con tutto ciò che era fuoriuscito dal collasso dell’impero sovietico. Il che ovviamente non ha facilitato la ricerca di altre strade con il nuovo regime russo, uscito da una sconfitta storico-politica di così grande portata che avrebbe richiesto molta più attenzione e circospezione politica e dialogo nella nuova fase che si apriva. Soprattutto quando è stato chiaro che Putin era animato dalla volontà di ridiventare attore non secondario nella definizione dei nuovi rapporti tra le potenze mondiali.
L’accordo di Ginevra non elimina il caos, che soltanto una ferma determinazione di pace e di autentica azione politico- diplomatica – politica soprattutto – dei principali attori internazionali potrà evitare di avviare a un più generale baratro. L’Europa dovrebbe costruire un suo ruolo centrale e anche di questo il dibattito europeo per il rinnovo dell’europarlamento dovrebbe occuparsi. Perché l’Europa non continui nel suo inutile gioco dell’oca.