Un 4 ottobre senza liturgie al servizio della sinistra
La manifestazione indetta da Sel per il 4 ottobre non deve avere nulla di scontato. Non può essere un fatto liturgico di una piccola forza alla ricerca del suo orgoglio. Il 4 ottobre, in piazza, insieme a tanti e diversi, dovrà mettersi in moto un fatto politico. Un fatto politico nuovo. E in effetti quel palco, da Maurizio Landini a Pippo Civati, passando per Curzio Maltese, Norma Rangeri e, naturalmente Vendola, allude esattamente ad un’urgenza da non perimetrare, una necessità politica e programmatica da far vivere accanto e fuori le attuali cristallizzazioni organizzative. Una proposta politica che si ostina a mettere insieme le parole sinistra e governo, alternativa di governo, rifuggendo le tentazioni apocalittiche o le strade conformi dell’essere integrati nella cornice della tecnocrazia europea.
I prossimi mesi saranno attraversati da mobilitazioni importanti contro la deriva tecnocratica e populista di Renzi. In questo contesto, affinché l’autunno sia caldo davvero e non diventi la stagione delle foglie cadenti e delle passioni tristi della sinistra, bisognerà far vivere già dal 4 ottobre lo spirito costituente di un tempo nuovo. Articolo 18 si, ma anche reddito minimo. Politiche industriali sicuramente ma dentro il paradigma della conversione ecologica. Lavoro certamente, ma anche centralità del vivente, della sua dignità fuori e dentro il ciclo della produzione post fordista. Rappresentanza nei luoghi di lavoro, ma anche democrazia integrale capace di rimettere insieme sul piano comunitario ciò che la crisi frantuma e divide. L’Europa dei popoli ma anche i popoli d’Europa con le loro specificità territoriali e paure ben oltre i limiti dello Stato nazionale.
Le forze politiche, i singoli, gli intellettuali, le forze sindacali, le leadership dovrebbero produrre uno scatto capace di collocarsi nel tempo presente. Un tempo difficile, non ordinario. Dove liturgie, consuetudini e abitudini non consentono di leggere la crisi di sistema in cui siamo immersi. Uno scatto di generosità visionaria. Le formulette del passato non servono a nulla, al massimo ci permettono di ripetere gli errori di sempre. E’ necessario diventare i veicoli di un cambiamento radicale di approccio alla ricostruzione della sinistra.
Intanto sarebbe già un grande passo in avanti se Sel dichiarasse la propria insufficienza, il proprio mettersi a disposizione di un progetto più grande, insieme a chiunque senta ancora l’urgenza di dare forza e significato alla sinistra, ai suoi valori al suo programma minimo. Sel dovrebbe avere la forza di non vivacchiare in attesa degli eventi ma di avanzare una proposta di ricomposizione di tutte le energie che hanno voglia di cimentarsi con questa sfida, che è prevalentemente sfida culturale, di linguaggi e di prassi democratica. In questo senso la battaglia al Senato è stato un passaggio esemplare.
Tutto azzerato, una testa un voto, tutti eleggibili, tutti elettori per definire carta dei valori, punti programmatici e leadership plurale. La straordinaria vicenda della lista Tsipras è stata azzoppata da un basismo autoreferenziale senza limiti e, soprattutto, dalla cessione di sovranità verso l’alto, ai saggi, che più correttamente avremmo dovuto chiamare con parole contemporanee, cioè tecnici.
Per passare dalla Monarchia alla Repubblica serve una iniezione di democrazia partecipata e una buona dose di conflitto. Sottoporci a un bagno di rilegittimazione democratica per scegliere idee, cultura politica e persone è l’unica strada che possiamo percorrere. Fare tutto questo senza chiedere abiure, abbandoni e senza misurare il tasso d’integrità alla causa di nessuno perché non abbiamo strumenti capaci di questa misura. Insomma un salto di soggettività capace di coniugare coraggio e responsabilità. Capace di sfidare la prudenza.
Rilke nei quaderni di Malte Lauridis Brigge ci esorta a non far morire il desiderio, a essere capaci di vedere ancora le stelle filanti, di continuare a cercare e vedere quel che ancora non c’è. Desiderare significa riconoscere dentro di sé la dimensione del tempo che è futuro. Se muore il futuro muoiono i desideri d’infinito e restano in vita quelli microscopici. Insomma tornare ai fondamentali, senza rete, fuor di politicismo, ricercare le ragioni del cambiamento che è passione e speranza. Mettersi in gioco esponendo le proprie fragilità rifuggendo rancore, muscoli e asce di guerra. Scrive Eugenio Borgna, «una pietra non è fragile perché sopravvive a tutti gli urti. Invece i desideri, speranze e anche tristezza sono fragili perché non sanno resistere alle aggressioni dell’indifferenza. Vanno in pezzi. E qui sta il loro valore enorme. Sono infinitamente più preziose le emozioni e le parole che si rompono di quelle inconsistenti che non si rompono mai».
Continuare a cercare è un atto di esistenza in vita, farlo insieme può darci coraggio, muovere verso campi ignoti porta con sé persino una possibilità di successo. Perché non provarci a partire da ora?
Dal quotidiano Il Manifesto del 27 settembre 2014
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