Un Mezzogiorno alla deriva. Ma merita l’attenzione di pochi
Le notizie vere, quelle che fotografano meglio il paese, non si trovano quasi mai nelle prime pagine dei giornali. Tolto un richiamino del Sole 24-0re nessun altro direttore della carta stampata sceglie di sostituire uno sbadiglio della Boschi con il rapporto dello Svimez sull’economia del nostro Mezzogiorno. Le opinioni, il senso comune, si fabbricano anche così. E le opinioni sono pur sempre il primo passo verso il consenso, se guardiamo alla politica. Si fabbricano (anche) così i partiti nazione, gli uomini soli al comando, le divisioni del mondo in due, con il sistema binario che mette i rinnovatori di qua e i conservatori di là, gli ottimisti in su e i rosiconi in giù.
Lo Svimez è un ente privato, dunque non corre il rischio di essere cassato dal Renzi per il fatto di dare del mondo, e ancor prima dell’Italia, una visione un po’ più dialettica a approfondita di quella che alberga nella capoccia del sottosegretario Luca Lotti, uno dei petali più spettinati del giglio magico fiorentino. E’ stato fondato nell’immediato dopoguerra da Rodolfo Morandi (un partigiano socialista, non un cantante melodico come è portato a credere sempre il Lotti), da Pasquale Saraceno, da Donato Menichella. Giganti che hanno segnato lo sviluppo economico e sociale del Paese, al cospetto della pattuglia di sprovveduti che sta mutilando la Costituzione. Uomini animati da idee differenti, persino distanti, in un tempo in cui “l’ideologia” esisteva, eppur tuttavia uniti dalla comune visione di realizzare “l’unificazione anche economica dell’Italia”. Si chiama, meglio si chiamava, “interesse generale”.
Lo Svimez, ente privato, è mosso dalla singolare idea (dati i tempi) che la “questione meridionale” non la risolve il libero mercato, ma lo Stato, con interventi pubblici e interventi straordinari. Il quadro che emerge dal rapporto sull’economia del Mezzogiorno costituirebbe, per un governo “del fare”, il punto vero da cui partire per dare senso, peso, valore alla parola “riforma”. Dopo aver snocciolato dati semplicemente raccapriccianti – Pil crollato del 3,5%, oltre l’80% delle perdite dei posti di lavoro concentrati al Sud, un milione e mezzo di emigrati dal sud al nord in meno di dieci anni, crollo della natalità – il rapporto si conclude con le seguenti parole: “il Meridione rischia la desertificazione umana e industriale”. Ma ora ci penserà di sicuro Renzi.
La sua carta segreta, l’asso vero della sua manica, quello con cui aggredirà non solo la questione meridionale ma la precarietà, il dissesto idrogeologico, la disoccupazione giovanile, l’inquinamento delle città, si chiama Senato. Una volta cambiata la Costituzione, la strada della trasformazione del Paese sarà spianata. Gli italiani non aspettano altro che arrivi l’8 di agosto. Partiranno per le ferie, nei dintorni di casa e da qualche parente compassionevole, e quando torneranno il “mondo di ieri”, quello di Rodolfo Morandi (Rodolfo, non Gianni, ministro Boschi), di Donato Menichella, di Pasquale Saraceno non esisterà più. Il giglio magico fiorentino, cui si saranno intanto aggregati altri innumerevoli cerchi concentrici, quello di Empoli, quello di San Gimignano e quello di Certaldo, porterà il nostro Paese fuori dal tunnel. Direzione Weimar?