Un negoziato a testa alta: Tsipras ha obbligato l’Europa a tornare a fare politica
Una lotta disperata per fare rimanere la Grecia nell’euro e quindi in Europa, visto che in base ai Trattati le due cose sono almeno formalmente collegate. Il ritorno al tavolo negoziale di Tsipras, dopo la decisione di convocare un referendum sull’andamento del negoziato, poteva avvenire in due modi: con la vittoria del sì la Grecia sarebbe stata rappresentata da un “tecnico” con la penna in mano per firmare qualsiasi cosa, oppure con Alexis Tsipras, forte del mandato dei cittadini greci per riaprire il confronto.
La manovra di 12 miliardi proposta dalla Grecia, 4 miliardi in meno rispetto alle richieste della Troika, sarà accompagnata da una richiesta di prestito per 50 miliardi di euro che dovrebbe mettere in sicurezza la posizione debitoria della Grecia rispetto alle scadenze dei prossimi 3 anni. Alcune delle misure più odiose suggerite dal Fmi sono state stemperate, come ad esempio l’Iva che aumenta per la ristorazione ma non per il settore alberghiero. Anche nel caso delle isole, verranno penalizzate quelle più ricche con la fine del regime di detrazioni, ma non quelle più povere e remote.
In fondo però tutto questo è il dettaglio, la sostanza è che la linea dura dei falchi che volevano cacciare via la Grecia e colpire Tsipras per “educare” gli altri hanno dovuto mordere il freno. A meno che non ci siano eventi oggi inimmaginabili, la Grecia rimane nell’euro e in Europa, continua a criticare la gestione dell’economia fatta da Bruxelles e ha deciso come modulare e quali riforme (o controriforme) fare.
Il punto centrale è però un altro, e cioè la sostenibilità complessiva del debito greco, ritenuta a rischio dallo stesso FMI. Molti in queste ore stanno dicendo che Tsipras ha “tradito” i greci perché avrebbe accettato il piano di austerità senza la contropartita della ristrutturazione del debito. Opinioni che lasciano il tempo che trovano perché prescindono di un aspetto formale, che per i falchi diventa sostanziale: il taglio del debito greco, all’80% di fonte comunitaria (BCE, altri Stati), non è legalmente possibile nell’Unione monetaria senza che cambino le regole. Per questo motivo nel 2012, quando venne fatto il “taglio di cappelli” al debito greco per 106 miliardi, soltanto i debiti detenuti dei privati furono decurtati.
La richiesta di ristrutturazione oggi, a banche greche chiuse da due settimane e davanti all’attuale impossibilità legale di farlo, equivarrebbe alla rottura, al default, alla grexit. Un cambio delle regole in sede europea richiede tempo e diplomazia e indubbiamente la Grecia continuerà a battere su questo tasto. Il FMI diventerà paradossalmente il suo più importante sostenitore sulla necessità di ridurre il debito su pressione di Washington. La sostenibilità del debito, a prescindere dai sacrifici che si facciano, è un tema ineludibile per il futuro della Grecia, e anche per un paese come l’Italia, che grazie alla crisi greca è ormai sul tavolo.
La realtà talvolta è difficile da digerire, ma il pragmatismo e la fantasia con la quale Tsipras e la sua squadra, nella quale va incluso in posizione preminente Varoufakis, rimarrà nella storia dell’Unione. Tsipras ha obbligato l’Europa a tornare a fare politica, a confrontarsi con scenari geopolitici, a prendere atto di cosa non funziona, a capire che questa strada porta alla disgregazione. Dopo la vicenda greca è chiaro che o l’Europa fa un salto di qualità oppure deperisce. Questioni ben più importante del peso specifico dell’economia greca.
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