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Martedì, 24 giugno 2014

Una giornata particolare: la morte di Sel? La nuova vita di Sel

berli

Gli abbandoni più dolorosi non sono quelli che si consumano dopo lunghe liti, né dopo estenuanti discussioni. In ogni lite, anche in quella più furente, c’è sempre, in fondo, un sostrato di relazione e di rispetto che smuove emozioni forti. Gli abbandoni più dolorosi sono, invece, quelli che avvengono senza essere vissuti, senza essere elaborati. Questo è ciò che da una settimana si è realizzato nella lenta, ma non imprevedibile, diaspora di parlamentari da Sel, al Pd o ‘temporaneamente’ a un gruppo misto. Una diaspora subodorata da almeno tre mesi, di cui nessuno né a livello nazionale, né a livello locale ha mai avuto occasione o senso di opportunità di discutere.

E allora, come spiegarsi ciò che è avvenuto?  Non riesco, personalmente, a riconoscermi nelle giustificazioni che i fuoriusciti, in questi giorni danno, a partire dalle parole che oggi Zan ci è venuto a raccontare a Padova.

Non riesco, ad esempio, a credere che si sia trattato di una mossa politica volta a mettere in difficoltà il Pd, portandolo su posizioni di sinistra. La diaspora principale è avvenuta, del resto, alla Camera, dove i numeri di Sel non cambieranno certo gli equilibri in campo. E chi difendeva i diritti delle nuove famiglie confluirà in una formazione che si prepara ad ospitare anche i rappresentati di Scelta Civica che sul tema hanno posizioni diametralmente opposte.

Non riesco, ancora, a credere a una  rottura sui contenuti: Vendola aveva ricomposto le fratture e promesso ampi spazi di discussione e non basta un decreto Irpef per fratturare un partito. Non è forse neanche una semplice lotta di potere, al di là delle legittime ambizioni di Gennaro Migliore e di chi come lui lo seguirà nel Pd. Si è piuttosto verificato un vero e proprio parricidio, uno sgretolamento lento di quella fiducia che faceva da sostegno a Nichi Vendola, sia come persona che come simbolo. Uno scollamento dal progetto che ha riguardato molto più i parlamentari, che non i militanti, la cosiddetta base che, sin dai tempi della Fabbrica, si è avvicinata a un progetto di rete, oscillante fra movimentismo e partito.

Questa ambiguità è stata ricchezza quando si è concretizzata in apertura, catalizzando partecipazione ed è stata zavorra, quando ha invece disorientato l’elettorato, non permettendogli di riconoscersi in una linea chiara o sentendosi tradito poiché non coinvolto nei programmi e nelle scelte politiche.

L’assemblea cittadina con cui stamattina, a Padova, Zan ha formalizzato la sua fuoriuscita dal partito ha seguito lo stesso copione. Annunciata come un incontro in cui l’onorevole avrebbe rimesso il proprio mandato alle decisioni della sezione, si è risolta in un atto formale di abbandono, senza possibilità di mediazione. E’ stato un autodafé, in cui, va ammesso, con coraggio Alessandro ha raccolto tutto il nostro malessere, incassando per tre ore ogni sorta di legittima critica politica. La sua è stata una esperienza di grande carisma e di grande successo elettorale a Padova, non gli va negato. Ma è stata, al contempo, una esperienza di distacco o quanto meno di incomprensione delle aspettative di rappresentanza del suo e del nostro elettorato, di cui abbiamo chiaramente sofferto tutti.

Al di là di ogni rancore nei suoi confronti, quella di oggi è stata una discussione proficua per chi resta e si sente onorato della tradizione pluralista, paritaria, integratoria di Sel. Ci siamo lasciati con lo spirito di Marta che ci invita a esplicitare le nostre emozioni, poiché un partito è una relazione prima di tutto. Ci siamo lasciati con il suo invito a servire rappresentando, e a non rappresentare quando serve. Ci siamo lasciati con l’esperienza di Chiara, con l’entusiasmo del suo impegno quotidiano. Ci siamo lasciati con la forza emotiva di Attilio che ha affermato con forza quanto anche il personale sia politico e come in questo progetto abbia investito la sua storia. Ci siamo lasciati con un sacco di buone idee per ricostruire, e per ricreare partecipazione. E allora penso che questo momento sia stato necessario. E allora penso che in fondo Sel è proprio questo: uno statu nascendi che si ricrea ogni volta, perché dietro a pochi disillusi che fuoriescono ci sono nuovi giovani che entrano e che cambiano i contorni del gioco e delle forme di ingaggio.

La politica come professione è una vocazione, non è una occupazione professionale. E’ la scoperta del senso della vita, è lo sforzo quotidiano per difenderlo e per costruirlo, giorno per giorno, volta per volta. E’ la capacità di ammettere i propri errori: Sel deve partire da questo, ragionare su come ricreare partecipazione e su come rappresentare chi più ne ha bisogno: i precari, il mondo dell’istruzione, tutti coloro che rimarranno esclusi dal bonus fiscale, tutti coloro che vedono le politiche sociali ingiustamente compresse dalle politiche di austerity. Abbiamo una grande responsabilità: continuare a garantire, attraverso una presenza di sinistra, un livello più alto di dibattito politico. E siamo obbligati a farlo riconoscendoci in ciò che diceva Berlinguer e prima di lui Gramsci: ci si salva nell’unità, non nel frazionamento.

Vincenzo Romania

FOTO: Disegno di Gianluca Costantini per BeccoGiallo