Una riflessione. Dare voce anche a chi non ce l’ha
Nel silenzio dell’opinione pubblica, è in discussione in Commissione Giustizia un provvedimento bipartisan molto importante.
Si tratta della possibilità per i figli adottati o non riconosciuti alla nascita di conoscere l’identità dei genitori biologici. Facciamo un passo indietro.
Già oggi, in casi costituzionalmente rilevanti (ad es. la salute) è possibile conoscere le generalità dei propri genitori naturali. Inoltre, una sentenza, la 278 della Corte Costituzionale del 2013, ravvisa la necessità di contemperare maggiormente i due interessi in campo, la segretezza del parto e il diritto alla conoscenza della propria origine.
Da qui, la discussione in atto. Con un testo di legge che rischia di rappresentare non un riequilibrio, ma uno squilibrio rovesciato. Anche perché c’è un soggetto che non ha voce, non si è costituito in associazione, non fa pressione sui parlamentari: le madri biologiche.
L’anonimato del parto fu introdotta dal legislatore per assicurare che la nascita potesse avvenire in condizioni ottimali. Un patto tra cittadina e Stato che oggi perde la sue caratteristiche originarie. Certo alla base della norma c’è la conferma o la revoca della volontà della donna di non voler essere nominata. Ma avendo il testo in discussione valore retroattivo, potenzialmente decine di migliaia di donne, attraverso lo strumento dell’interpello, potrebbero vedersi contattare in casa e nella loro vita, da assistenti sociali o carabinieri o da entrambi. Nella massima riservatezza che tuttavia in molti contesti equivale già a palese pubblicità.
Mi chiedo anche se questo diritto alla conoscenza delle origini, in futuro, non possa estendersi alla fecondazione eterologa.
È un tema molto delicato, che richiede profonde riflessioni e cautela nel rispetto degli interessi e della vita di tutti i soggetti interessati. Ma c’è una certezza: la sinistra ha senso se sa ascoltare anche la voce di chi non ce l’ha.