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Lunedì, 3 marzo 2014

Va di scena la legge elettorale, ordiniamo altri pop corn

astolfo

Coraggio, è lunedì. E questa è una settimana promettente, avremo la nuova legge elettorale. Stavolta i pop corn ce li prendiamo noi e ci godiamo comodi lo spettacolo. Pur non portando con sé nessun nuovo posto di lavoro (di questo ne riparleremo la settimana prossima, quando il treno renziano ad alta velocità si metterà sul binario del job act) la nuova legge elettorale sarà, comunque vada, un discrimine per la politica italiana. Conviene ricordare, in tempi di memoria labile, che appena entrata in Parlamento la pattuglia di deputati di Sinistra Ecologia Libertà ha depositato, come primo atto, la proposta di abrogazione del Porcellum, poi messo in soffitta dalla Corte Costituzionale per l’inettitudine di gran parte delle altre forze politiche presenti nel Parlamento medesimo. E conviene altresì ricordare che il famigerato Porcellum, voluto dalla parte di destra (tolta la Lega) di quella stessa maggioranza che regge il nuovo governo Renzi, faceva apparire come ancora velatamente democratica persino la legge Acerbo del 1923 voluta dal cavaliere Benito Mussolini per vincere comunque sia, non fossero bastati i manganelli.

Naturale dunque che il Renzi batta sin dall’inizio il suo martello pneumatico delle riforme proprio su questo chiodo. Sa che va incontro al senso comune diffuso degli italiani, sa che dopo la sentenza della Corte non c’è via di scampo e coglie l’attimo, del resto questo, fin qui, è proprio quello che sa fare benissimo. Lo fa con un colpo di scena pieno di retroscena, non certo casuale. Incontra nelle sede del Partito Democratico il duo Berlusconi-Verdini, il primo appena dichiarato decaduto come senatore e il secondo rinviato a giudizio per reati vari di corruzione, conflitto d’interessi e truffa. L’uno già esponente della P2, l’altro affiliato alla P3 e alla P4, varie società segrete che mandano da decenni in agonia la democrazia italiana. Finito l’incontro Renzi poteva dire diverse cose, politicamente comprensibili, del tipo: “Non posso non consultare, sulle regole del gioco politico, le varie forze in campo”. Oppure: “Io ho detto la mia, loro hanno detto la loro, adesso procedo”. O ancora: “Li ho ascoltati, finisce qui”.

Invece dichiara che l’esito dell’incontro è un patto, un patto che prevede riforme istituzionali e costituzionali, un patto frutto di una piena sintonia. Dice esattamente così, piena sintonia. Il patto anziché quattro cose, ne prevede tre: legge elettorale, superamento del Senato, superamento del Titolo V della Costituzione, quello che definisce i poteri di regioni, comuni e province. Con i fogli contenenti il quarto punto, il conflitto d’interessi, Denis Verdini si era esercitato, durante l’incontro, a fare origami, passando poi i modellini di quelle forme creative a Berlusconi. Il quale, come già aveva fatto con D’Alema ai tempi della Bicamerale, li ha lasciati in dono al Renzi che se li è divisi subito con Del Rio.

Ma intanto quel che più conta, l’effetto annuncio, di nuovo, è garantito in pieno. Laddove nessuno era riuscito sin d’ora, sfonda al primo colpo lo stilnovista fiorentino. La popolarità s’impenna all’ora dei tg. Pochi, pochissimi, tra i commentatori hanno però la pazienza di leggere bene il testo della Perfetta Sintonia per rendersi conto, come più tardi si scoprirà, che quella nuova della legge elettorale è semplicemente inapplicabile. Manca intanto, ma è quasi tutto, l’algoritmo, cioè il sistema tecnico (diciamo così per semplificare) che è indispensabile in ogni legge elettorale quale che sia per tradurre i voti in seggi. Poi è sotto la soglia minima di costituzionalità il binomio premio di maggioranza-soglia di sbarramento, anzi su questo punto siamo ad un passo indietro rispetto al Porcellum, niente meno.

Inoltre si può configurare il caso, niente affatto da escludere nel panorama mobile del voto italiano, che una coalizione possa addirittura aggiudicarsi il premio di maggioranza e però nessuno dei partiti che la sostengono superi la soglia prevista, così da non potersi assegnare nemmeno un seggio. E fin qui, mai nessuno si era spinto a tanto. Quel testo insomma è un cumulo di errori, e a dirlo è adesso anche uno degli estensori tecnici che ha contribuito a redigerlo, il professor Roberto D’Alimonte, sostenendo che vanno corretti sia il premio di maggioranza sia le soglie di sbarramento. L’intero impianto, in sostanza. Tocca allora al Parlamento, nella discussione che inizia appunto questa settimana, intervenire. Ma al momento di farlo vien fuori che Renzi di patti non ne ha sottoscritto uno soltanto, ma due. Con Berlusconi per riformare l’assetto dello Stato, che è come dire Cappuccetto Rosso che porta il cesto di vivande alla nonna, in una situazione in cui, come sappiamo, quando c’è di mezzo Silvio il taglialegna non arriva mai.

E con Alfano per avere via libera col nuovo governo, questa la condizione posta. Nel patto con Berlusconi è previsto che, fatta la legge, si possa anche andare subito al voto. In quello con Alfano è previsto che si possa votare non prima di aver fatto anche, per via Costituzionale, cioè attraverso il tempo richiesto della doppia lettura e del referendum confermativo, la riforma del Senato. Tempo richiesto, almeno due anni. Come andrà a finire adesso? Lo sapremo in settimana, pop corn in mano. Ma sentir dire da un malinconico Berlusconi che Renzi deve stare attento a fare il gioco delle tre carte ci ispira verso il cavaliere disarcionato quel lieve moto di tenerezza di cui non ritenevamo fin qui capaci noi stessi.

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