Sei in: Home › Attualità › Notizie › Vendola risponde al vescovo di Otranto: la chiesa non può legiferare sui diritti di tutti
Sabato, 24 ottobre 2015

Vendola risponde al vescovo di Otranto: la chiesa non può legiferare sui diritti di tutti

Vaticano

In una lettera pubblicata sulla Gazzetta del Mezzogiorno, nei giorni scorsi il vescovo di Otranto-Santa Maria di Leuca Mons. Vito Angiuli criticando le posizioni di Nichi Vendola sulle Unioni Civili ha rivendicato l’interventismo della Chiesa sulla questione dell’omosessualita’ e ha ricordato che don Tonino Bello ( uno dei punti di riferimento di Vendola) era contro il divorzio e l’aborto).

Ecco la risposta di Nichi Vendola:

Chi sono io per giudicare un omosessuale? La domanda che si pone Papa Francesco, nella sua semplicità cristallina, scuote il mondo intero, diventa un fatto pubblico che spiazza persino la gerarchia ecclesiastica, segna un “prima” e un “dopo” nella vicenda del cattolicesimo.
Perché quella domanda secca, evangelicamente “scandalosa”, irrompe nei lavori preparatori del Sinodo sulla famiglia e apre lo spazio di una discussione calda e inedita nella Chiesa?

Io penso che il vertice del cattolicesimo abbia chiuso troppo a lungo gli occhi sulla vita reale, trincerandosi dietro la pietra sepolcrale dei cosiddetti “valori non negoziabili”, presentandosi come un magistero dell’intolleranza ed esercitandosi nell’arte dell’anatema, incurante della violenza che si scatena ancora oggi contro chi si porta addosso un odore di “diversità”.

Non voglio evocare le torture e i roghi purificatori che per secoli, nel nome della Santa Inquisizione, hanno incenerito corpi e anime di eretici, di presunte streghe e di “sodomiti”. Né ricordare lo sterminio nei lager o nei gulag. Mi basta rammentare l’attualità.

Per omosessualità si viene perseguitati, incarcerati o addirittura giustiziati in ottanta nazioni del pianeta: sono delitti su cui la Chiesa tace. In Italia la brutalità dei fenomeni di omofobia colpisce soprattutto adolescenti, toglie ossigeno a esistenze concrete, cinge di filo spinato lo spazio vitale di chi chiede di uscire dal nascondiglio.

Ricordo questi fatti per dire che non si può ignorare il contesto reale in cui nasce e cresce una lunga battaglia di civiltà: che non può che riguardare l’eguaglianza di diritti e di dignità delle persone e la fine di una discriminazione di cui la Chiesa, nel corso della sua storia, si è resa artefice.

Questa è la verità che il Vescovo Vito Angiuli rimuove nell’animosa polemica che mi dedica. C’è stata tanta sofferenza per un numero incalcolabile di persone, negate nella loro soggettività, brutalizzate dal pregiudizio e dall’ignoranza: bisognerebbe chiedere perdono anche a loro, a chi è stato crocifisso per la incolpevole colpa di essere diverso!

Se gli uomini del Tempio riuscissero a tacere, solo per un attimo, e provassero, solo per un attimo, ad ascoltare il cuore di quella negletta diversità, forse capirebbero perché la frase di Papa Francesco porta luce e speranza: perché si era abituati alle parole supponenti e contundenti, buie e gelide, delle gerarchie. Una Chiesa di Inquisitori piuttosto che di profeti.

Se la verità ci farà liberi dal peccato, allora diciamo tutta la verità del peccato di chi ha nascosto per decenni gli abusi sessuali nei seminari e negli oratori ai danni anche di bambini, e ha sublimato questa ombra sporca con le ossessioni di un moralismo sessuofobico. Ma non si tratta di nevrosi, si tratta di potere. Il controllo del discorso sulla sessualità è un potere straordinario, capillare, invasivo: la Chiesa rivendica la titolarità esclusiva di quel potere, ponendo limiti invalicabili al pluralismo culturale e mettendo sotto ipoteca la laicità dello Stato, magari usando l’argomento arbitrario della perfetta coincidenza di morale religiosa e morale naturale.

Su questo punto ci stiamo confrontando, caro Vescovo: non sul diritto della Chiesa di parlare, bensì sulla pretesa di comandare, di sostituirsi al legislatore, di dettare le norme che regolano la vita e i diritti di tutti.

Sull’aborto e sul divorzio viene tirato in ballo don Tonino Bello: certo solo un falsario potrebbe considerare oscurantista quel profeta salentino, piuttosto fu oscurantista chi nella Chiesa lo considerò un eretico e cercò di isolarlo. Non è così?

Ma non capisco perché mi si butta addosso questo argomento. L’Italia dei delitti d’onore e dei tavoli delle “mammane” su cui abortivano e spesso morivano le donne più povere: questo c’era prima delle leggi che hanno consentito divorzio e aborto. Prima la morale era salva e la vita era sfregiata: governava l’ipocrisia. La stessa ipocrisia che rende accettabile l’omosessualità a condizione che viva di nascosto e che accolga la propria diversità come una pena da espiare: come se Dio ti avesse messo in corpo una maledizione.

Oggi le unioni civili sono la rivendicazione sacrosanta del diritto ad avere tutela giuridica e sociale per le coppie gay (che sono storie e progetti d’amore). Rappresentano uno standard di civiltà a cui veniamo richiamati dalla Corte di Giustizia europea.

Se don Vito Angiuli permette, questo è la pietra angolare della nostra discussione. E sia consentita anche a me una citazione del santo di Alessano: “Signore salvami dalla presunzione di capire tutto, dall’arroganza di chi non ammette dubbi, dalla durezza di chi non tollera ritardi, dall’imperizia di chi salva i principii e uccide le persone.

Commenti