Venenzuela tra crisi sociale e speranze di futuro
Come accade per ogni processo rivoluzionario al di là dei confini nazionali, anche nel caso del Venezuela spesso riemerge un complesso dibattito, soprattutto a sinistra, tra chi si schiera sic et simpliciter in sostegno all’esperienza “chavista” e chi, dietro l’imperativo dei diritti umani, rischia di aggiungere la propria voce a chi in quel paese persegue invece strategie determinate dagli interessi delle destre, ed in particolare delle grandi oligarchie. Oligarchie che – per la prima volta nella storia del paese – si sono viste ridurre il proprio strapotere, nell’ottica del perseguimento di un progetto di giustizia sociale e redistribuzione della ricchezza, quello del Socialismo dl XXI secolo.
Dall’altra parte, seppur tentando di mantenerne la spinta propulsiva , l’attuale presidente Nicolas Maduro stenta a seguire le orme del proprio predecessore Hugo Chavez, sullo sfondo di una situazione economica e sociale assai delicata, che si ripercuote drammaticamente sulle condizioni di vita dei venezuelani. Una situazione di incertezza, tensione, preoccupazione per il futuro. Banalizzare le riflessioni a poco può servire. Si deve dire con chiarezza che l’esperimento portato avanti negli anni dal Governo venezuelano e adesso dal Presidente Maduro ha rappresentato, all’interno di un contesto denso di contraddizioni, il rilancio di un Paese che finalmente vede una redistribuzione delle risorse tale da garantire finalmente una lotta vera all’analfabetismo, l’aumento dei salari minimi cure per le fasce della popolazione più povere e risposte concrete alla grande questione abitativa. E i governi che hanno provato ad animare il Socialismo del XXI secolo hanno rivestito e rivestono un ruolo importante nella vita dell’intera America Latina degli ultimi. Un progetto collettivo di riscatto politico, di apertura alla democrazia partecipata e di difesa dei beni comuni.
Va senz’altro riconosciuto che in questo quadro, nel quale il Venezuela rappresenta una forte anomalia per la politica latinoamericana di Washington, ed un attore chiave per i processi di riunificazione a livello regionale, gli interessi economici delle grandi multinazionali continuano a guardare al paese come ad una roccaforte da espugnare per appropriarsi di ingenti risorse naturali, principalmente il petrolio, Ed è difficile immaginare che, alle spalle delle proteste che mettono a ferro e fuoco intere città, causando morti, distruzione e penuria di cibo, non vi siano alleanze con scopi ben diversi da quelli dichiarati , in particolare dopo l’abbandono da parte delle destre di una posizione più “dialogante” quale quella di Capriles in sostegno a posizioni al limite dell’eversione propri dei leader della destra attuale. Una destra che si è inserita opportunisticamente nell’onda di mobilitazioni studentesche , riuscendo a caratterizzarle politicamente, mediaticamente e imprimendo a tali mobilitazioni un carattere di conflitto quasi paramilitare. Mai come nel caso del Venezuela i media sono utilizzati come arma di “eversione” o contropropaganda, ed è quindi assai complesso da oltreoceano riuscire a distinguere sempre con estrema chiarezza dove risiedano errori o responsabilità.
La vicenda venezuelana è – infatti – sempre stata discussa e trattata con grande passione e con un approccio polarizzante. O sei con la rivoluzione bolivariana o sei uno della destra golpista. Esistono anche a sinistra e da sinistra elementi critici verso l’esperienza bolivariana, che non la vogliono certo rinnegare, ma ne evidenziano contraddizioni e limiti, propri di ogni importante e storico processo di cambiamento. Ad esempio la stretta dipendenza dalle rendite petrolifere, che rischia di minare sul lungo periodo la capacità di quell’economia di essere autosufficiente, rendendo il paese dipendente da importazioni crescenti di prodotti alimentari. Rendita petrolifera che ha anche creato un ceto politico che gode di privilegi rispetto al resto della popolazione che sostiene la rivoluzione bolivariana. Da altri settori di sinistra provengono critiche riguardo il rispetto dei diritti umani e civili, e soprattutto l’esortazione ad di accelerare ulteriormente gli aspetti più partecipativi e “dal basso” dell’esperienza boliviana fatto sta che al netto di queste considerazioni il paese vive una fase di grande tensione, che ci richiama ad un senso di responsabilità nell’impostare analisi e riflessioni di lunga durata senza dichiarazioni superficiali. La parola chiave da cui ripartire non può che essere quella della riconciliazione e “de-escalation” da ambo le parti. Dobbiamo sostenere con vigore il percorso di dialogo e mediazione politica che si sta costruendo tra maggioranza di governo ed opposizione, confidando nella capacità di quel popolo di marginalizzare chi non ne desidera il proprio bene e di lavorare affinché si riesca a tempi rapidi a garantire sicurezza e stabilità nel Paese.
Arturo Scotto, Francesco Martone