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Mercoledì, 5 marzo 2014

Veniamo al dunque…

astolfo

L’alluvione d’inchiostro, se si legge, e il profluvio di parole, se si ascolta, ci mettono da giorni davanti alla sola, unica notizia che domina la scena: il percorso zigzagante dell’Italicum. Divenuto ormai il principio risolutore del destino storico del paese. E non siamo che all’inizio. Il resto del mondo viene dopo, viene in piccolo, viene con i consigli per gli acquisti o nei ritagli d’agenzia. Occorrerebbe che ciascuno di noi si ponesse una semplice domanda: a cosa serve davvero una legge elettorale. A cosa serve, se non a raffigurare una rappresentanza e insieme ad affidare nelle mani di una maggioranza democraticamente eletta le sorti del paese? Ma per fare poi che cosa?

Il fatto è che di questo “fare poi che cosa”, alla fin fine non discutiamo mai. Confondiamo il mezzo, lo strumento, con il fine e giungiamo al paradosso (che viviamo oramai come accadimento normale) di sentir dire da Renzi e da Alfano la precisa identica frase, il vero mantra delle larghe intese. Esso recita: “Vogliamo dare al paese una legge elettorale che consenta, la sera del voto, di avere uno che vince e uno che perde. Così si garantirà in Italia finalmente l’alternativa”. E’ stupefacente, e subito dopo sconfortante, sentirlo dire da chi guida partiti che governano in alleanza insieme da anni e si propongono di continuare per altri anni. Senza aver mai aver voluto misurare questa loro scelta con l’opinione degli elettori dai quali, stando alla prima delle chiare regole democratiche, in definitiva dipende.

Nei più grandi paesi europei, per non dire degli Stati Uniti, le leggi elettorali durano nel tempo. Sono tra loro uniformi rispetto ai diversi livelli delle istituzioni. Dipendono, nel senso che ne sono il frutto e la diretta conseguenza, dal tipo di sistema politico. Sono, soprattutto, in sintonia piena, e rispettosa, con le costituzioni vigenti. Per capire il senso del dibattito italiano attorno alla legge elettorale bisogna capovolgere ognuno dei punti precedenti. E così avremo: leggi elettorali che durano il tempo breve delle maggioranze che le approvano, leggi elettorali diverse l’una dall’altra a seconda del tipo di voto così che non sfugga al paese l’effetto cortocircuito istituzionale permanente, leggi elettorali che fondano il sistema politico del paese il quale in questo modo funzionerà come il vertice che sorregge la base della piramide, leggi elettorali che si pongono rispetto alla Costituzione ad una sempre maggiore distanza democratica.

E’ così, a ben vedere, anche in questa madre di tutte le battaglie renziane che è l’Italicum. E ciò malgrado essa diventa ogni giorno l’alfa e l’omega del nostro discorso politico, ciò da cui tutto poi dipenderà. Che la dura realtà non sia così ce lo dice il resto del mondo, se riusciamo ad essere ancora capaci di osservarlo. La legge elettorale ha come unico scopo quello di produrre un governo e cosa deve mai fare il governo se non portare il paese fuori dal tunnel della crisi?

L’Europa poche ore fa retrocede l’Italia fra i paesi che continuano ad avere “squilibri eccessivi”, ci chiede continue manovre che mirano sempre lì, alla spesa per il welfare e alle politiche del lavoro. E bisogna affidarsi a qualche giornale fuori dal coro dei media mainstream (Pagina99) per leggere la vera notizia da cui dovrebbero partire i nostri ragionamenti, e quelli di Renzi in primo luogo. In America si sta andando incontro ad una nuova crisi. A New York la borsa non è mai andata così bene e mai lo spread è stato misurato così basso. Ma è una partita di giro tutta interna alla finanza, che sembra non riguardare niente dell’economia reale. Niente di quel ceto medio che si è in poche lune immiserito, niente di quel 99% della popolazione statunitense che si è vista divorare la ricchezza sociale dal restante 1% , effetti della crescita e ammontare del reddito.

A poco sono valse le scelte di Obama, un po’ tardive e un po’ coraggiose, come ridurre la spesa militare, favorire crediti fiscali ai lavoratori che sono sotto la soglia di povertà, mettere in cantiere un piano per il lavoro e l’occupazione giovanile, l’american jobs act. Gli analisti prevedono stagnazione, e durerà a lungo. Se non è bastato è perché il mercato, con i suoi operatori di sempre, torna a immettere titoli che avranno a breve i medesimi effetti di quei derivati sui mutui che furono alla base del crak americano qualche anno fa, poi dirottato tutto in Europa. Siamo punto e a capo. Non ancora usciti dagli effetti della crisi e già dentro il secondo tempo di una partita che si giocherà con le stesse carte di prima.

Se è possibile tutto ciò è perché non si è andati alla radice di nulla. E la radice cos’è se non la finanza speculativa, rimasta intatta con le sue dominanti regole così umanamente e socialmente innaturali da produrre una mutazione delle stesse fondamenta economiche, se è vero che si può ad esempio dare crescita senza dare occupazione nuova. Se torna la recessione in America, come potrà starne al riparo l’Europa? E l’Italia, che ha gli indici da sempre più alti? Tutto ciò ci dice qualcosa che, sulla nostra pelle e sulle nostre vite, abbiamo da tempo ben chiaro. La crisi, oltre che essere nelle mani di chi l’ha causata, riproduce una logica che ha già fallito, in Europa e in America. Quella di far riprendere la finanza così riprenderà l’economia. Ecco, le borse volano, gli spread calano, i mercati nuovamente s’intossicano e l’economia arretra. Come prima, più di prima, peggio di prima. Renzi dovrebbe affrettarsi a trovare l’algoritmo giusto dell’Italicum e passare finalmente ad altro.

 

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