Violenza contro le donne, non fermiamoci alla Convenzione di Istanbul
Dal 1° agosto è entrata in vigore la Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne. Il testo adottato dal Consiglio d’Europa nel 2011 e firmato finora da ventitré paesi membri, ha superato la soglia minima delle dieci ratifiche necessarie, diventando così vincolante per il nostro Paese.
La Convenzione è uno strumento internazionale che affronta il fenomeno della violenza su donne e bambine in quanto appartenenti al genere femminile, nelle sue molteplici forme. Indica strategie integrate e globali di approccio al tema della violenza, non riducendola a una questione penale e securitaria. Proprio il riconoscimento del carattere strutturale della violenza nelle relazioni di genere suggerisce grande attenzione alle sue radici culturali e alle necessità di politiche integrate di prevenzione, protezione e tutela delle vittime.
L’entrata in vigore è una sfida per l’Italia. Siamo un Paese in cui molto è stato prodotto dalle associazioni di donne, da anni impegnate su questo tema in un’ottica di genere e di empowerment delle vittime, o dalle sinergia tra queste e gli enti locali che hanno finanziato le esperienze dei centri. Manca però un vero e proprio sistema organico di prevenzione e di tutela in grado di affrontare il fenomeno della violenza maschile sulle donne e le bambine.
E manca una politica culturale adeguata, che promuova una nuova educazione sentimentale, come indichiamo nel progetto di legge presentato da Celeste Costantino e firmato da tutte le nostre parlamentari.
La regione Lazio, per esempio, – tra le prime a livello nazionale – ha approvato un testo che riordina le norme regionali già presenti e le aggiorna alla luce delle indicazioni della Convenzione di Istanbul. La legge n. 4 del 2014 contro la violenza di genere, affronta in modo globale il tema e indica un piano triennale di interventi che rafforza la rete dei centri e contestualmente individua nuovi percorsi, come i servizi per uomini maltrattanti, la formazione degli operatori e i percorsi culturali di educazione alle differenze.
Il governo però si sta muovendo con ritardo e senza nessun vero investimento politico in questo campo. Come è noto Renzi ha scelto di non assegnare a nessuno la delega alle Pari Opportunità, ma allo stesso tempo non la esercita in maniera evidente e con la forza che sarebbe necessaria per dare un segnale di reale cambiamento.
Pensiamo che il piano antiviolenza possa essere il primo degli strumenti per tradurre in azioni concrete la convenzione di Istanbul.
Abbiamo la possibilità di cominciare a costruire quel sistema organico di contrasto alla violenza che fin qui è mancato. E’ necessario che i soldi vengano impegnati, che le associazioni che fin qui hanno garantito interventi di prevenzione e tutela vengano ascoltate e le loro pratiche ispirino le politiche pubbliche e gli investimenti in questo settore.
Abbiamo predisposto un ordine del giorno da far votare nei diversi consigli comunali o regionali, affinché i fondi del piano antiviolenza vadano davvero a sostenere i centri e le regioni si impegnino a programmare piani di intervento e di rafforzamento delle politiche di prevenzione e contrasto. Un testo che ognuno potrà declinare come meglio ritiene alla luce delle specificità del proprio territorio.
Chiediamo ai nostri eletti e ai nostri amministratori di essere in prima fila in questa battaglia.
Cecilia D’Elia, Daniela Santroni, Celeste Costantino